rivista di letteratura in embrione

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Simona Vinci
La materia dell'idea (racconto)
Note biografiche

LA MATERIA DELL'IDEA

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Simona Vinci


     Tutto un possibile scorrere, apparire, confrontarsi tra l'idea, la cosa, la permanenza della cosa, la sua inanità, la materia dell'idea, del colore, della luce e Dio sa cos'altro ancora.
     (Duras, "La mostra di quadri")


     Il tavolo da lavoro è nel caos, stamattina: libri aperti, fogli con appunti incomprensibili scarabocchiati a penna rossa, la tazza del caffè (nuova, di ceramica inglese, marroncina), soldi sparsi, le sigarette, un accendino viola, una candela, delle rose secche, un tubetto di gel per gli ematomi, l'agenda del telefono.


     Gli oggetti hanno un'evidenza quasi dolorosa. Scrivere diventa impossibile. Le immagini entrano dritte negli occhi e lì si fermano, mute, nel loro esserci assoluto, a dispetto mio e dei miei pensieri. Stanno lì, nella luce e vogliono che presti loro attenzione.


     Certe mattine, come questa, quando la luce è bianca e fredda, radente, i colori e le forme prendono il sopravvento, mi abbagliano e non so trovare le parole.


     Siamo amiche per caso, come sempre accade. Lei dipinge, io scrivo. Anche questo, per caso.


     Abbiamo passato del tempo così: guardandoci lavorare l'un l'altra. Sono rimasta immobile, seduta nel suo garage: lei di spalle, il braccio sollevato ad indicare direzioni sulla tela, a farle sparire. Sono entrata anch'io nelle possibilità dei segni. Ho visto la sua mano procedere per accumulazione, distrazioni e recuperi. Ho visto la differenza: la scrittura si cancella con un gesto rapido, è sufficiente una linea, netta, se è su carta, oppure un pulsante premuto che fa svanire le lettere. Cancellare un segno sulla tela è più complesso, a volte occorrono diverse mani di colore, è la tua mano che decide di cambiare una possibilità della forma e sotto, rimane un'ombra a ricordarti quella negata.


     Lei prova a scrivere. La sua scrittura è caotica, disordinata, non conosce la sintassi, le elementari regole grammaticali. La punteggiatura. Le parole, le frasi, si sovrappongono le une alle altre abbozzando delle forme, lasciandole incompiute, svolazzanti. Se dovessi dipingere, probabilmente cercherei di far corrispondere ogni segno ad una parola. Mi perderei nei dettagli, procederei per piccoli tratti, segmenti incapaci di incontrarsi ad indicare una forma.


     Anche lei cerca di raccontare delle storie: non lo so se ci riesce. Quando guardo i suoi quadri e la ascolto spiegarmi che quei tetti, quelle croci, sono il disagio del mondo contemporaneo, l'incontro/scontro della civiltà moderna con la fede e non so più che altro, non so se la seguo. Vedo tetti e cielo di un colore innaturale e un delirio di forme sovrapposte, (...il paesaggio, dice, le città invisibili...), io vedo tetti, e mi spiace che siano passati i tempi di un Valenciennes, che dipingeva tetti per dipingere tetti.      Tetti nel sole e tetti nella sera.


     Anch'io cerco di far vedere delle immagini. Tutt'e due prigioniere di un sogno impossibile. La pittura condensa, la scrittura dilata. E allora, lei cerca il dinamismo, io la staticità. Io cerco l'immutabile, una parola che detta, le dica tutte (o molte), lei cerca il movimento, tenta di uscire dalla tela.


     Il suo ultimo lavoro: foglietti di carta sottile, impalpabile, legati l'uno all'altro con delle cordicine. Sopra, a matita, immagini di treni, fili, lampioni, pali della luce: il paesaggio contemporaneo, la città. Il segno che si ripete con minime variazioni.


     Dimenticare l'ossessione di un mondo in forma di parole e tornare all'originale: la forma, quella che è lì, evidente, per tutti.


     La pittura: la sua evidenza. L'immediatezza. Certo, un quadro puoi non capirlo, non immaginare nemmeno gli studi che stanno dietro a quelle quattro linee intersecate, a quel caotico ammasso di colori, però lo vedi. E' tutto lì, lo raccogli con uno sguardo. La scrittura, devi prenderti la briga di leggerla, devi stabilire dei nessi, conoscere la sua grammatica, tradurla, ricordarti quello che sta scritto a pag. 10.


     Pero'...


     C'è gia' abbastanza casino così, di parole ne abbiamo piena la testa. E anche di immagini. C'è il cinema, la televisione, ci sono le installazioni. Abbiamo le immagini che si muovono, di croste sono pieni i musei. Cosa ce ne facciamo di false immagini del mondo, e mute, quando abbiamo quelle vere e possiamo manipolarle?


     Pittore? Imbianchino.


     Scrittore? Sceneggiatore, copywriter, rapper.


     Scriviamo immagini, dipingiamo parole. Tutt'e due ci facciamo le stesse domande: perché, a cosa serve, e come, come?


     Che si tratti di lettere, di frasi, di punteggiatura, oppure di segni, pennellate, sfumature di colore, o ancora di scatti e graduarsi della luce o ancora di note e scale e anche rumori, ogni artista continua a fare quello che deve fare, come faceva B. Bolden:


     "...non faceva altro che mostrare tutte le possibilità che si aprivano nel bel mezzo della storia."
     (M. Ondaatje, "Buddy Bolden's blues")


     E continuerà ad essere questo, soprattutto questo, in qualsiasi modo.



(Inedito)


L'autore: Simona Vinci

Simona Vinci è nata a Milano il 6/3/1970. Studia Lettere Moderne all’Università di Bologna.


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