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Carlo Lucarelli
Il giudice
Note biografiche


IL GIUDICE

racconto di

Carlo Lucarelli



Isidoro sospirò, chiudendo gli occhi, poi li riaprì subito.
“Lasciami stare, Alvaro... almeno adesso, lasciami stare”.
Alvaro sedeva accanto al letto e fissava le mani di Isidoro che stringevano il lenzuolo sgualcito, ingiallito dal sudore. Si passò la lingua sulle labbra, come faceva sempre prima di parlare.
“Stai morendo, Isidoro. Ho sentito il dottore che lo diceva, poco fa. Non passerai la notte e la notte è vicina”.
Isidoro serrò le palpebre, scuotendo la testa. “Lasciami stare” ripetè, “per favore, lasciami stare”.
La lingua di Alvaro sputò rapida, tra le labbra. “Non posso, Isidoro, lo sai. E’ il mio dovere. Anche se eravamo amici e siamo stati a scuola assieme. Sono un giudice inquirente. Tu sai chi ha ucciso Maria Pineda e lo devo sapere anch’io. Dimmelo adesso”.
Isidoro rabbrividì, con un singhiozzo, poi rimase immobile, come se fosse morto. Ma io, da dietro al giudice Alvaro, vedevo le ossa del torace magro che si alzavano e si abbassavano lentamente e le vedeva anche il giudice, che aspettò paziente, in silenzio, finché Isidoro non si mosse di nuovo.
“Palermo, 25 settembre” disse il giudice, piano, “Maria Pineda esce di casa per andare a scuola. Ha solo otto anni ma abita dietro l’angolo e la lasciano andare da sola. A scuola, però, non ci arriva perché un’automobile si avvicina al marciapiede e qualcuno le spara nella testa. A una bambina di otto anni, Isidoro, in testa. Perché?”
Isidoro gemette così piano che Alvaro sembrò non sentirlo.
“Il giudice Rosa aprì l’inchiesta e la chiuse subito, con un niente di fatto. Ma Rosa è sempre stato un incompetente... io, invece, sono bravo e scopro un testimone che ha visto l’automobile e si ricorda il modello e anche un’ammaccatura che ha sul parafango. Allora faccio un controllo e scopro che, coincidenza, tu hai un’auto uguale, con la stessa ammaccatura sul parafango. Ma tu hai un alibi, Isidoro Barga, eri fuori città con tuo cugino Ferdinando, lo dice un testimone. Allora? Chi l’ha uccisa la povera Maria Pineda? Chi spara in testa a una bambina di otto anni?”
“Basta, Alvaro, basta... per favore...”
“Poi scopro che tu, il cugino Ferdinando e il testimone siete nel contrabbando. Un informatore mi dice che tenete la roba in un magazzino proprio davanti alla scuola e io metto le cose in relazione. Ma Rosa non ci crede e quando riesco ad ottenere un mandato di perquisizione nel magazzino non c’è più niente, niente merce di contrabbando, niente Isidoro, niente di niente. Isidoro è partito, se ne è venuto qui a Petralia, senza neanche salutare il suo amico Alvaro”.
Isidoro rabbrividì ancora e chiuse gli occhi, dopo un altro singhiozzo. Alvaro attese, sempre paziente, finché quello non riprese conoscenza. Allora ricominciò a parlare.
“Io so, perché lo so, che Maria Pineda l’avete ammazzata voi. Ma perché? All’inizio pensavo che avesse visto qualcosa, ma il magazzino voi l’avevate dall’altra parte della strada e lei di là non ci passava. E allora? Tuo cugino voleva provare la pistola? C’è qualcosa che non so della famiglia Pineda? Sono nel contrabbando anche loro? Perché, Isidoro, perché? Non me ne vado di qui finché non me lo dici, perché? Perché? Perché? Perché?”
Lo avrà ripetuto almeno un centinaio di volte e ogni volta si passava quella lingua maledetta sulle labbra, con un sibilo sottile, come quello di un serpente. Perché, perché, perchè... glielo avrei detto io se lo avessi saputo, pur di farlo finire. Stavo quasi per esplodere e urlare la smetta! quando Isidoro cedette, un attimo prima di me.
“Basta” sospirò, con un grido sfiatato che era poco più di un mormorio. “L’ha uccisa Ferdinando! Le ha sparato in testa mentre io guidavo!”
Il giudice Alvaro si chinò sul letto, appoggiandosi al cuscino con le mani. Sibilò all’orecchio di Isidoro così piano che facevo fatica a sentirlo. “Perché?”
“Perché aveva visto il magazzino!”
“Non è possibile!” Alvaro strinse un pugno sulla faccia di Isidoro, “ho percorso quella strada almeno mille volte e non si vede niente! Solo un muro di mattoni, le assi di un cantiere e la pubblicità di un sigaro!”
Questa volta Isidoro sorrise, scoprendo i denti gialli in una smorfia opaca.
“Alvaro, povero idiota... lo eri a scuola e lo sei anche adesso. Hai fatto quella strada mille volte ma quello che vedevi tu non era quello che vedeva una bambina di otto anni. Dovevi farla in ginocchio e allora, con gli occhi a un metro da terra, avresti visto la finestra”.
Il giudice Alvaro si morse un labbro, così forte che mi sarei aspettato di vedere il sangue da un momento all’altro.
“Hai ragione” disse, “sono un idiota. Ora puoi morire, Isidoro”.
Aprì una cartella che teneva sulle ginocchia e scrisse rapidamente su un foglio, senza fermarsi a pensare. Poi piegò il foglio e me lo passò da sopra alla spalla. “Ordine di cattura per Ferdinando Rama, cugino di Isidoro Barca. Lo arresti immediatamente, maresciallo”.
Presi il foglio, sbattendo i tacchi, poi, tenendo la mano dietro alla schiena, lo accartocciai lentamente e lo lasciai cadere sul pavimento. Dalla stanza vicina, sentivo un giornalista de “La Sicilia” che dettava al telefono, urlando per farsi sentire.
“Petralia, 25 giugno. E’ morto all’età di centoventisei anni Isidoro Barga, l’uomo più vecchio d’Europa e forse del mondo...”
Isidoro non era ancora morto, ma non importava. Respirava piano, con gli occhi socchiusi, il volto coperto da una fitta rete di rughe sottili che la vecchiaia gli aveva disegnato sulla pelle ingiallita. La maschera del tempo, la stessa che aveva sul volto anche il giudice Alvaro, vecchio rimbambito, schiavo di un’ossessione di decenni, incubo degli assistenti volontari della Casa di Riposo di Palermo e soprattutto del sottoscritto, suo prediletto.
Aspettai che si abbandonasse contro lo schienale della carrozzella e lo spinsi fuori dalla stanza, lentamente e senza scosse, perché nonostante il blocco della memoria che lo aveva fermato al 1926, il giudice Alvaro era anche lui molto, molto vecchio. Perché il giudice Alvaro era stato sì a scuola con Isidoro, ma aveva ripetuto due anni e adesso ne aveva centoventotto...

(inedito)


L'autore: Carlo Lucarelli

Carlo Lucarelli è nato a Parma nel 1960 e vive a Mordano, in provincia di Bologna. Scrittore e autore di testi teatrali ha pubblicato i romanzi “Carta bianca”(Sellerio, Palermo, ‘90), “L’estate torbida” (Sellerio, Palermo, ‘91), “Falange Armata” (Granata Press, Bologna, ‘92), “Indagine non autorizzata” (Mondadori, Milano, ‘93), “Il giorno del lupo” (Granata Press, Bologna, 94), “Lupo Mannaro” (Theoria, Roma, 94), "Guernica" (Il Minotauro, Milano '96) e la raccolta di racconti “Vorrei essere il pilota di uno Zero” (Moby Dick, Faenza, ‘94). E'in uscita il romanzo "Via delle Oche" (Sellerio, Palermo '96)

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