rivista di letteratura in embrione

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Deborah Gambetta
Editoriale
I sogni sogni sono (racconto)
Note biografiche



EDITORIALE

d i

Deborah Gambetta


E voi di che morbosità siete?

Una volta mi fecero questa domanda: "Se la tua casa andasse a fuoco, quali sono i libri che hai letto che vorresti salvare?".
Domanda cretina... Questa è la prima cosa che ho pensato.
Se la mia casa andasse a fuoco, la prima cosa che farei sarebbe quella di salvare la pelle.
"Si, ma ragioniamo per assurdo..."
Cosi va meglio... All'assurdo non c'e limite...
Allora...
Oggi ripenso a quella domanda e mi dico che forse forse tanto cretina non è. Non lo è per quello che nasconde.
Il numero di libri che ogni lettore ha letto si perde negli spazi fumosi della memoria. Anche i titoli e anche le trame. Bei libri che ci fanno girare l'ultima pagina con un sorriso soddisfatto.
"Ho letto un bellissimo libro, dovresti leggerlo anche tu...". Oppure:
"Hai letto il libro di..., è bellissimo!!!".
Ecco. Libri bellissimi. Frasi pronunciate un'infinita di volte. Bellissimi per un sacco di motivi. Per la storia, per lo stile, per l'atmosfera, per l'intreccio, e chi più ne ha più ne metta.
Ma la domanda della casa che brucia ecc. ecc. fa capolino. E mi rendo conto che fra tutti questi libri 'bellissimi' non ce n'è uno che mi venga in mente. O meglio. Se mi viene in mente sono indecisa se salvarlo dalle fiamme o meno. E se sono indecisa qualcosa vorrà dire, no?
Ma a questo punto succede qualcosa. Succede che dalle acque placide della mia memoria emergono lentamente qua e la, come pezzi di legno, i libri che io vorrei salvare. Se sono pochi o tanti non importa. Ma ci sono.
Mentalmente li passo in rassegna. E mano a mano che scorrono sotto i miei occhi mi accorgo di una cosa. Anzi mi ricordo di una cosa. Che a ognuno di quei libri, letti quasi col fiato in gola, se non letterelmente divorati, faceva da corollario questa frase: “In assoluto il piu bel libro che io abbia mai letto!”.
Il più bel libro. Ogni volta l'ultimo era il 'più bello'. Il non plus ultra. Il punto di non ritorno (o di non proseguimento). E cos'e che fa la differenza tra 'il più bel libro' e 'un libro bellissimo'? La risposta è una delle più semplici. L'aspettativa. Anzi le aspettative. Quando un libro soddisfa le nostre aspettative è 'un bel libro' e ci piace. Ma quando soddisfa le nostre aspettative più nascoste e morbose, allora è 'il più bel libro'. Quando ci ritroviamo passo passo nelle situazioni o nelle azioni o nella psicologia del personaggio.
Quando un libro soddisfa appieno le nostre morbosità, curiosità e desideri nascosti, quel libro diviene 'il più bel libro'.
Questo è stato il caso di uno degli ultimi romanzi che ho letto: "Un grido fino al cielo" di Anne Rice. E conoscendomi non e stato difficile capire il motivo.
Ambientato nel '700 italiano libertino e decadente, è la storia di Tonio Treschi, erede di una nobile famiglia veneziana, che a quindici anni cade vittima di un intrigo di corte e viene castrato. Intrigo ordito dal presunto fratello (che in realta e il padre) tornato dall'esilio in cui era stato mandato per motivi politici e deciso a riprendersi ciò che gli appartiene. E di Guido Maffeo, il suo insegnante, anch’egli eunuco, la cui carriera viene stroncata all'età di diciotto anni per la perdita della voce. Maffeo trova in Tonio il talento che può dare corpo alla sua musica e da quel momento prende inizio la duplice avventura dei protagonisti, che terminerà soltanto con la vendetta di Tonio nei confronti del padre fratello.
Oltre al fatto che possiede diverse chiavi di lettura: è romanzo storico (il '700 italiano, il mondo dei castrati, della musicae dell’opera del 18° sec.); romanzo d'amore (amore per l'arte e amori estremi, omosessuali e al limite dell'incesto); romanzo d'avventura (dove l'avventura diviene 'viaggio' alla scoperta e all'accettazione di se attraverso un brulicare di sentimenti violenti quali l'ambizione e la vendetta); romanzo giallo (omicidi perpetrati in nome di ideali discutibili); romanzo erotico (di un erotismo vivo e coinvolgente, mai volgare, in cui l'atto fisico non è mai pura azione fine a se stessa).
A questo punto apro il vocabolario e sotto la voce 'morbosita' leggo: “Esasperazione capace di provocare la deformazione o il travisamento dei limiti naturali o morali di un fatto". E sotto la voce 'morboso': "Obiettivamente anormale e assurdo, opprimente e talvolta addirittura ossessivo".
Travisamento e deformazione dei limiti naturali e morali...
Anormale e assurdo...
Sfido a trovare una persona priva di codeste curiosita morbose ‘anormali e assurde'...
Per quanto mi riguarda "UN GRIDO FINO AL CIELO" è lo specchio in cui si riflette la mia morbosita.
L'epilogo del romanzo è quanto di più audace e forte io abbia mai letto: Tonio Treschi ritorna a Venezia per vendicarsi del padre fratello. E come? Per l’aspetto efebico e ambiguo, eredita del famigerato 'taglio del coltello' si presenta al cospetto del padre fratello in abiti femminili. Lo seduce e alla fine si vendica uccidendolo.
Le differenze di sesso, che per tutto il romanzo sono sfumate fino a confondersi (eunuchi uomini che sono donne sulla scena; una donna, Cristina, di cui Tonio s'innamora, fa la pittrice, lavoro prettamente maschile, e conduce una una vita come solo un uomo poteva condurre) dicevo, le differenze di sesso, alla fine del romanzo esplodono e si annullano e noi ci troviamo di fronte a una donna che in realtà è un uomo eunuco che seduce un altro uomo che è anche padre fratello.
Anne Rice ha sfondato il limite e ci ha precipitato in una dimensione in cui tutto è lecito, dove non ci sono atti amorali o 'anormali e assurdi' (ricordate la definizione di 'morboso' e 'morbosita'?). Una dimensione dove il figlio (Tonio) bacia e accarezza la madre bambina (e giovanissima) non certo come farebbe un figlio 'normale'; dove un uomo può amare una donna o un altro uomo indifferentemente e dove l'atto incestuoso e compiuto dal figlio nei confronti del padre.
A questo punto ritorno alla domanda iniziale. “UN GRIDO FINO AL CIELO” sarebbe uno di di quei libri che io salverei dal fatidico incendio.
Perchè quel libro racchiude il plasma delle mie curiosita morbose.
E voi? quali libri salvereste dall'incendio?

I SOGNI SOGNI SONO

d i

Deborah Gambetta


“Cosa fa, adesso mi uccide?”
Il ragazzo, seduto sul primo gradino delle scale con la schiena appoggiata alla ringhiera guardò la ragazza in piedi a pochi passi da lui.
“Se mi fai un’altro scherzo come quello di poco fa ti faccio saltare il cervello” sibilò a denti stretti.
“Sanno dov’è ormai. E’ solo questione di tempo”.
“Sta zitta!” ringhiò. Una smorfia di dolore gli contrasse per un attimo i muscoli del volto.
“Ha perso molto sangue. Lasci almeno che gli medichi la ferita”.
“Non rompere e siediti. E sta zitta per favore!”
La ragazza incrociò le braccia sul petto e inclinò la testa di lato. Lo guardò per un po’.
“Non andrà molto lontano... sempre se uscirà vivo di qui”.
Il ragazzo questa volta alzò il volto, le puntò la pistola contro e la guardò dritto negli occhi.
“Non hai paura?” chiese lui in tono basso e secco.
“Cambierebbe qualcosa? Che io ne abbia o meno lei potrebbe uccidermi comunque”.
Il ragazzo piegò le labbra in una specie di sorriso che subito scomparve.
“Ho tutto nell’altra stanza, là, vede? E’ quell’armadietto laggiù”.
“Non sono così idiota...”
“Può spararmi in ogni momento...”
Il ragazzo la guardò in silenzio. L’abito corto appena sotto il sedere, il trucco sfatto e i capelli in disordine. Pensò che era molto bella.
“Daccordo... ma tieni le mani ben in vista. E cammina molto lentamente”.
La ragazza andò nell’altra stanza, aprì l’armadietto, prese l’occorrente e tornò indietro.
“Deve togliersi la camicia però... Non mi guardi così, come posso medicarla se lei...”
Lui si sbottonò la camicia e stringendo i denti fece scivolare la manica lungo il braccio.
Belle spalle pensò lei.
“Non è poi così brutta... ho visto di peggio” disse chinandosi e indicò la ferita.
“Ah sì? E dove, al cinema?”
La ragazza lo guardò seccata.
“Faccio l’infermiera. Avanti, stia fermo. Fermo, ho detto”.
Il ragazzo con un gesto rapido le puntò la pistola sotto la gola.
“Non ti pernettere più di parlarmi in quel tono, hai capito? Io ti ammazzo”.
Un guizzo di paura le accelerò i battiti del cuore. Lo guardò negli occhi. Guardò per la prima volta il viso della ragazza da vicino. Era giovane. Troppo. E bello. Davvero.
Lo medicò in silenzio e lentamente, alzando ogni tanto gli occhi per guardarlo in faccia.
“Adesso gliela fascio. Stia fermo se no mi viene male”.
Il ragazzo sbuffò per il dolore.
“Abbiamo finito”.
Si passò il dorso della mano sulla fronte sudata e appoggiò la testa alla ringhiera. La stanchezza gli intorpidiva le membra.
“A questo punto dovrei anche ringraziarti...” disse a fatica.
Lei alzò le spalle. “Mi stava macchiando di sangue dappertutto...” disse rialzandosi. Lui le guardò ancora le gambe. Affusolate e così vicine.
“Che guarda?”
“Hai una sigaretta?”
“Di là in salotto...”.
“O.K. Andiamo. Cammina avanti”.
Il ragazzo si alzò lentamente e le puntò la pistola alla schiena. Il contatto con la canna fredda le procurò un leggero brivido.
“Siediti lì” disse spingendola contro la poltrona.
Si sedettero uno di fronte all’altro. Lui si accese una sigaretta e aspirò profondamente. La brace brillò nella penombra della sera.
“Posso averne una?”
“E poi? Vorrebbe anche un caffè?”
“Se sta fumando lei perché non posso fumare anch’io?” ribattè la ragazza.
Lui la guardò sconcertato. Bella e arrogante “e mi sta prendendo per il culo” pensò.
Le buttò il pacchetto. Fumarono in silenzio. Lui la pistola stretta nella mano e gli occhi piantati sulle caviglie di lei. Lei gli occhi puntati sul volto di lui.
“Come si chiama?”
“Cosa?” disse distratto.
“Come si chiama”.
“Nicola”.
“Uhm... io Katia”.
“Beh, adesso che abbiamo fatto le presentazioni ci stai zitta?”
“Quanti anni ha?”
Lui la guardò spazientito.
“Senti carina, allora non mi sono spiegato...”
“Se devo passare dell’altro tempo con lei vorrei sapere almeno qualcosa...”
“Ti spaccherei la testa” pensò. “Ventisei” disse.
“Ventisei?” La ragazza si portò una mano alla bocca e cominciò a ridere.
“Che cazzo ridi, stronza?”
“Rido perché io sono più vecchia di te e mi tocca darti del lei”.
“E perché? Quanti anni hai?”
“Ventotto”.
“Ah ventotto... più vecchia di me, eh?”
“Be’, sono sempre due anni...”
Il ragazzo si alzò in piedi e afferrò la ragazza per la scollatura del vestito costringendola ad alzarsi. La guardò dritto negli occhi, provando per un istante un senso di vertigine, poi la spinse fino alla parete più vicina.
Sentì il profumo del suo respiro e la pressione del seno sotto il pugno chiuso. Le batteva il cuore.
“Adesso mi hai veramente scocciato... Mi credi un isiota da prendere per il culo, eh? Se non ti faccio fuori è solo perché se ti sparo, trenta minuti e arriva la polizia. Ma stai attenta...”
Il trillo del campanello fu una rasoiata nel silenzio. Il ragazzo le tappò la bocca con una mano e con l’altra le puntò la pistola alla tempia.
“Chi cazzo è?” ringhiò. “Se urli ti ammazzo”.
Lei spalancò gli occhi. “Non... non lo so...”
“Aspettavi qualcuno?” Un rivolo di sudore gli solcò la pelle della schiena.
“No...”
Il campanello trillò ancora.
“Oh cazzo! Adesso... adesso ci avviciniamo alla porta, senti chi è dal citofono chiunque sia lo mandi via, capito?”
La ragazza annuì.
“Avanti” disse afferrandola per un braccio e spingendola verso l’uscio. Lei si passò una mano fra i capelli, alzò il ricevitore e cercando di controllare la voce il più possibile chiese chi era.
“Katia sono la Gina, c’è un gatto morto in mezzo alla strada, non vorrei che fosse il tuo... aprimi...”
“Chi cazzo è?” chiese il ragazzo con la voce che gli tremava.
“La mia vicina di casa...”
“Digli che il gatto è in casa”.
Gli occhi della ragazza si velarono all’improvviso di lacrime.
“Avanti rispondi”.
“Signora è... è in casa nonsi preoccupi. Grazie... grazie...” E mise giù. Il ragazzo scostò le tende e guardò fuori.
“Bene. Se ne sta andando. Oh cazzo... per un gatto... brutta troia schifosa...” Ma quando si girò le parole gli morirono in gola.
“E’ morto...” soffiò lei.
La guardò. Gli occhi bagnati. Avrebbe voluto gridarle di smettere di piangere, ma nonostante tutto, la paura e l’ansia, ciò che gli uscì dalla bocca fu un mi dispiace pronunciato con unfilo di voce.
Lei lo guardò con rabbia.
Lui ripetè: “Mi dispiace”.
“Le dispiace, eh?” urlò. “Se non fosse stato per lei tutto questo non darebbe successo. Lei viene in casa mia, si insedia qui e aspetta chissà che cosa. Pensa che i suoi amici verranno a prenderla?”
“Smettila!” gridò lui tirandola per un braccio.
“Ma la smetta lei. Ma che cosa vuole da me, eh? Pensa di riuscire a farla franca? Di riuscire a scappare?”
“Adesso basta!” urlò lui ancora più forte. Il sangue gli salì al cervello.
“Sa cosa le dico? Che nonappena lei mette il naso fuori di qui la fanno fuori come un cane, brutto bastardo”.
“Smettila!” gridò. Lo schiaffo che le mollò sul viso la fece cadere a terra.
Silenzio.
Il vestito le salì fino a scoprirle il fianco e l’elastico bianco del perizoma. Lo sguardo di lui cadde sulla curva soda del gluteo. Quel particolare lo distrasse. Per una frazione di secondo pensò che un culo così poteva esserselo fatto solo in palestra.
“Alzati” le ordinò.
“Ma va a farti fottere stronzo”.
Si trattenne a stento dal mollarle un’altra sberla. Invece si inginocchiò accanto a lei e le porse una mano. Lei si scostò i capelli dal viso e lo guardò per alcuni istanti.
“Mi domando perché uno così carino debba essere tanto stronzo” disse tirando su col naso.
Il tono ingenuo con cui aveva pronunciato quella frase lo colpì.
“E’ una bambina” pensò.
Improvvisamente l’imbarazzo calò su di loro. Allungò una mano verso di lei e invece di aiutarla a rialzarsi le sfiorò una guancia con la punta delle dita. Lei rapida gliel’afferrò e la tenne stretta nella sua. Quel contatto lo colse alla sprovvista facendolo rabbrividire.
Mentrela guardava negli occhi si disse che era imbecille. Mentre appoggiava la pistola a terra si disse che quello che stava facendo gli sarebbe costato la vita. Ma quando le posò la mano sulla coscia non si disse più niente.
Lei chiuse gli occhi e aspettò. Aspettò che la mano di lui si muovesse e solo allora divaricò un po’ le gambe. Quando raggiunse le mutandine la guardò. Occhi chiusi e bocca socchiusa. Bastò una lieve pressione con l’unghia del medio per scostare quell’involucro di pizzo bianco e toccarle la peluria bruna.
Lei abbe un leggero scatto. Le accarezzò le labbra, poi lasciò che il dito scivolasse dentro quel calore bagnato. Sentì ilsuo membro gonfiarsi e irrigidirsi. Lei divaricò ancora di più le gambe ma quando lui si avvicinò per baciarla lei aprì gli occhi e gli bloccò la mano.
“Lasciami”.
Lui si allontanò da lei, afferrò la pistola e gliela puntò contro.
“Scusami” sussurrò.
Lei allora si alzò, accese una sigaretta e si sedette sulla poltrona. Il ragazzo ancora in ginocchio sul pavimento la seguì con lo sguardo. Rimase in quella posizione a lungo. Lei non lo guardò più in faccia per molto tempo.
“Sei fidanzata” le chiese dopo un silenzio infinito.
“Sì”.
“Perché ti sei lasciata toccare?”
“Come hai fatto a cacciarti in questo guaio?”
Lui la guardò furioso.
“Non sono affari tuoi”.
“Sei in casa mia e vuoi scopare con me. Dimmi come hai fatto a cacciarti in questo guaio”.
Il ragazzo si alzò da terra e tornò a sedersi sulla poltrona di fronte a lei. Si passò una mano sugli occhi, emise un profondo sospiro e disse: “Questo è un sogno. Questo è un sogno e io domani mi sveglio e tutto questo non è successo...”
“Se è vero che questo è un sogno... voglio sognare il piacere... prima che il pianto si muti...” recitò lei.
“Calderon de la Barca...” disse il ragazzo.
I loro occhi si incontrarono.
“Conosci Calderon de la Barca?”
“La Vida Es Suegno” disse lui abbassando lo sguardo.
“E questo è un sogno?” chiese lei. Lui la guardò senza rispondere.
“Alzati” le disse. “Alzati e vieni qui”.
Quando lei esitò lui si protese in avanti e le puntò nuovamente la pistola contro. La ragazza allora obbedì e si alzò.
“Mettiti in ginocchio”. Lei eseguì.
Si guardarono ancora poi lui le avvicinò la canna della pistola alle labbra e disse: “La vita è sogno e i sogni sogni sono...”
Lei chiuse gli occhi e con la lingua cominciò a leccare, dapprima lentamente e poi sempre con maggiore foga l’estremità della pistola. Lui con la mano libera le sbottonò il primo bottone del vestito scoprendole unseno e quando sfiorando il capezzolo roseo e turgido lei ebbe un sussulto lui si sentì sopraffatto dall’eccitazione.
“Girati” le sussurrò. La voce era calda e bassa. Lei aprì gli occhi per un istante soltanto poi senza esitare si girò. Il ragazzo scivolò giù dalla poltrona in ginocchio dietro dietro di lei. Appoggiò la pistola per terra, poi le sollevò l’abito fino a metà schiena. Le accarezzò la fessura bagnata attraverso le mutandine. Lui si allungò sopra di lei, le circondò la vita con un braccio e l’attirò a se. Mentre ricadeva a sedere su di lui avvertì la pressione del suo membro e a stento trattenne un gemito. Appoggiò le spalle contro il suo petto e inarcando la schiena lasciò che la mano di lui scivolasse giù e la masturbasse. Quando i loro respiri si fecero sincopati la spinse nuovamente in ginocchio, le scostò la striscia bianca del perizoma, si sbottonò i pantaloni e solo quando si appoggiòcontro di lei capì che non sarebbe più riuscito a tornare indietro. La prese per i fianchi e ad ogni colpo la sentì gemere ed ansimare sempre di più, finché al culmine dell’orgasmo i muscoli di lei si contrasserofino a farlo venire.
Quando si accasciò sotto di lui, con la guancia sul pavimento, gli occhi chiusi, il respiro rotto, il ragazzo la girò supina e ancora in ginocchio la guardò dall’alto. A lungo. E senza pensare. Poi si alzò, si infilò la pistola nella cintura dei pantaloni, si chinò e la prese in bracio. Lei appoggiò la testa alla sua spalla e salirono le scale. Giunti in camera la sdraiò sul letto. Solo allora lei aprì gli occhi e lo guardò. Lui appoggiò la pistola sul comodino poi si sedette sul bordo del letto e le sfilò le mutandine. Lei piegò le ginocchia, si tirò su il vestito fino all’ombelico e allungò le gambe. Si guardarono ancora a lungo. Poi lui si slacciò la cintura e le andò sopra.
Li svegliò alle prime luci dell’alba l’ululato assordante delle sirene della polizia.
Ma solo quando udirono ilrumore concitato di sportelli sbattuti e una voce che attraverso il megafono chiamava il nome di Nicola, solo allora il ragazzo si alzò. Afferrò la pistola e guardò giù oltrele tende della finestra. Uno strano sorriso gli piegò le labbra.
“Nicola” lo chiamò lei. Mentre si girava si rese conto che lo aveva chiamato per nome. Lui allora si avvicinò al letto. La guardò. Con la punta del pollice raccolse una lacrima dalla guancia.
“... e la vita è così breve... anima mia, sogniamo... sogniamo, sogniamo ancora... ma senza dimenticare... che insieme ci desteremo... nell’attimo più felice...” mormorò.
Poi prima di andarsene le sfiorò le labbra con un bacio.

(Inedito)


L'autore: Deborah Gambetta

Deborah Gambetta è nata a Torino nel 1970 e vive a Massa Lombarda, in provincia di Ravenna. Studia Lettere Moderne all’Università di Bologna, ha scritto alcuni racconti ancora inediti e pratica body building a livello dilettantesco. Sta scrivendo un romanzo dal titolo “Fratelli (e) Amanti”.

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